martedì 16 dicembre 2014

MI CHIAMO ANGELO..UNA STORIA CHE POTREBBE ESSERE LA NOSTRA


“Mi chiamo Angelo,ho spalle forti, braccia muscolose e due gambe d’acciaio. Non è un modo di dire. Le mie gambe sono ormai le ruote della sedia a rotelle che da due anni è diventata la mia amica del cuore, sorella, madre, direi quasi compagna di vita.
Non voglio pietà o commiserazione, sono un tipo orgoglioso, dinamico e continuo ad esserlo. L’incidente in moto che ha segnato il corso della mia vita non ha cambiato o piegato il mio carattere. Anzi , ogni nuova esperienza è  una sfida con me stesso. Ma l’affetto e lo sguardo di simpatia di chi mi sta vicino sono ingredienti fondamentali per aiutarmi ad accettare questa condizione difficile.
Scale, mezzi pubblici, posta , musei, ristoranti, cinema, teatri sono diventati ostacoli quasi insormontabili. Che fatica! E quanta indifferenza condita con  melensa curiosità. Sguardi furtivi che cercano con indelicatezza tracce di sofferenza e disperazione sul mio viso.
“ Anche io ero così….prima? “
Angelo sfogliava nei ricordi antecedenti l’incidente. Non si era mai posto il problema della  malattia, né tantomeno della disabilità. Non era un “indifferente”, semplicemente non aveva mai pensato che sarebbe potuto toccare a lui. Essere autonomi era un diritto imprescindibile, una condizione essenziale della sua esistenza. Così la pensava.
“ E ora?  Quando seppi che non avrei mai più potuto camminare pensai ad uno scherzo crudele. No, non poteva capitare a me, avevo vent’anni, tanti sogni, tante idee da realizzare. Perchè’??????E poi….Mi abbandoneranno? Nuvole fosche di ansia  e timore avevano ormai oscurato il mio sole. Non è stato facile cacciare via le nuvole e ritrovare la luce, il calore, il profumo di piccoli istanti di gioia. No, non mi hanno abbandonato. Almeno non tutti. Le persone che mi amavano veramente mi sono state vicino, con delicatezza, senza ferire il mio orgoglio e la mia sensibilità acuita dal dolore. Non sono state rose e fiori, ma ce l’ho fatta. Ho ripreso ad  ammirare  il colore del cielo, a gustare i sapori,gli odori, l’energia positiva ha incominciato a riempire di nuovo la mia vita. Tutti possiamo farcela.”
Il mio primo incontro con la sedia a rotelle fu devastante. Non potevo credere che avrei passato il resto della mia vita su quella “cosa”. Quando mi avvicinarono tentai di allontanarla da me con la potenza delle mie braccia muscolose. Esplosi in tutta la rabbia che covavo per quell’ingiustizia che  mi era capitata. E poi scoppiai in un interminabile pianto. Lungo, salato ma liberatorio. Capii che se avessi continuato con quell’atteggiamento comprensibile ma distruttivo non sarei andato da nessuna parte. Sembra un gioco di parole ma era la realtà. E allora cercai di amarla quella “cosa”, detestabile ma assai preziosa. Addirittura la feci dipingere di arancio il mio colore preferito, il colore dell’energia e del sole. Certo non passavo inosservato e poi ero visibile anche con il buio….In breve tempo imparai ad usarla e d apprezzarla; ormai quella “cosa” era diventata le mie gambe, la mia possibilità di autonomia. E poi così ero diventato la mascotte del quartiere. Non andavo più di fretta, inscatolato in mille impegni, ogni minuto scandito dal ticchettio del mio orologio interno. Non potevo più farlo. Ma questo, scoprii più tardi quando la marea di tristezza stava lentamente scomparendo dal cuore, era senza dubbio un vantaggio. Anzi un’opportunità. Incominciai a conoscere le persone intorno a me, non solo un saluto e via, ma uno sguardo profondo, un sorriso, un parlarsi per entrare in una reale sintonia. Il giornalaio mi aggiornava di quello che succedeva nel quartiere, con il fruttivendolo parlavamo di coltura biologica, al caffè ero sempre il benvenuto. Piccole sfumature di gioia nella giornata. C’era anche chi ti sbarrava la strada, chi andava di fretta e ti urtava senza neanche chiedere scusa, sgarbi quotidiani a cui  col tempo imparai a non dare peso. E poi scoprii altre persone come me, compagni di viaggio in quel nuovo universo dove eravamo precipitati senza un’apparente ragione. C’era Renato, il ragazzo sordo muto e la ragazza cieca. Cecilia si chiamava. Abitavano vicino a me ma prima dell’incidente non avevo mai saputo della loro esistenza. Incominciammo a darci appuntamento nel bar sottocasa e si creò fra di noi una vera e propria rete di solidarietà e amicizia…..
Con il tempo avevamo esteso la rete di amici  “ diversi” e insieme avevamo coniato una parola d’ordine per il nostro nuovo gruppo : sorriso. Era diventata la nostra bandiera, non potevamo scordarci di sorridere. Era l’antidoto all’amarezza di ogni momento scolorito, dove ti assaliva la tristezza  e la disperazione. Ho imparato a sorridere. Prima lo facevo poco. Lo consideravo una sorta di lusso superfluo. Ma poi ho capito che il sorriso è la porta di comunicazione con l’anima, con la propria e con quelle intorno pronte a sintonizzarsi. E’ contagioso..
Continua..

Ho incominciato a scrivere questo romanzo un anno fa..ora l'ho terminato ed è diventata una storia piena di passione, tenerezza e fatti imprevedibili... 
Angelo è nella mia anima e ora è arrivato il momento di  farlo volare: cosa ne pensate?

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